Dando uno sguardo al Conto Annuale sul personale della Pubblica Amministrazione, curato della Ragioneria Generale dello Stato, il quadro che viene ricostruito è a dir poco drammatico: le lavoratrici e i lavoratori sono sempre più anziani e i giovani ancora troppo pochi. Inevitabilmente, continuando così, sarà sempre più a rischio la tenuta dei servizi pubblici offerti ai cittadini, oltre che le condizioni di lavoro del personale impiegato.
Dal 2007 al 2016, il sistema pubblico è passato da 3.429.266 a 3.247.764 lavoratori, con una dispersione di circa il 5,3% del personale in quasi 10 anni. L’età media anche ha subìto una crescita esponenziale nello stesso arco di tempo considerato: dai 46 anni del 2007 agli oltre 50 anni del 2016.
Se poi ci concentriamo soprattutto su Scuola e Università, il cui contratto è stato appena rinnovato, emerge che, tra il 2007 e il 2016, si sono persi più di 50 mila tra lavoratrici e lavoratori: – 4% rispetto a dieci anni fa. ‘Perdite’ non indifferenti per un settore strategico dello Stato per la costruzione di una società e di una cittadinanza effettivamente in grado di affrontare le sfide del futuro. Un settore, inoltre, che sta invecchiando velocemente. La maggior parte di loro, infatti, supera di gran lunga i 50 anni, con aumento dell’età media di quasi 5 anni dal 2007 (dai 48 anni del 2007 ai quasi 53 anni del 2016).
Un’anzianità e un’esperienza non compensate neanche da uno stipendio adeguato al ruolo che gli insegnanti dovrebbero rappresentare nel nostro paese: uno stipendio che, al netto degli straordinari e delle altre indennità accessorie, supera a stento i 25 mila euro annui nel 2016. Dato indicativo dell’importanza che è stata attribuita all’istruzione negli ultimi anni. Una rotta che dev’essere necessariamente invertita.
Il lavoro flessibile, infine, ha riguardato, nella Scuola, il 17,3% delle lavoratrici e dei lavoratori in rapporto al tempo indeterminato e il 2,7% nell’Università. Nel secondo caso, però, non viene conteggiato tutto il lavoro gratuito che caratterizza il nostro sistema universitario. Lavoro portato avanti dai dottorandi di ricerca che, senza neanche il sostegno delle borse di studio, ne sorreggono il buon funzionamento: assistono i professori durante gli esami, fanno lezione agli studenti e realizzano la maggior parte del lavoro di ricerca delle Università.
Bisogna tornare, dunque, a dare il valore che meritano il sistema Scuola e il sistema Università. A partire dalla liquidazione della ‘Buona Scuola’, che ha trasformato l’istituzione scuola in una merce da vendere al ritmo di iniziative di marketing; da un piano di assunzioni giovanili nel comparto, per ridare vitalità al comparto; da investimenti seri e concreti sul diritto allo studio gratuito e, anche, sul personale che lo anima. Solo così il nostro paese potrà tornare ad essere competitivo nel mondo e potrà avere un futuro carico di potenzialità per le prossime generazioni.